






L'aranceto
Inviato da
CarloP
,
24 dicembre 2013
·
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Gli agrumi mi danno un senso di gioia e di allegria, mi ricordano l'infanzia, le lunghe serate davanti al camino, la buccia delle arance messa ad abbrustolire sul fuoco o ad essiccare, per essere poi utilizzata in quella strana preparazione che era il sanguinaccio, una specie di nutella primordiale, terrore e bonta' di tutti i bambini del mio tempo e del mio paese.
La raccolta delle arance e delle clementine segnava l'ingresso nella stagione fredda, nell'inverno vero e proprio, e con questo la sicurezza che Natale stava arrivando tra buoni propositi e giornate di festa.
Non c'era un'ora precisa per mangiare questo ben di Dio, ogni momento era quello giusto. A crepapelle. Alle clementine non c'e' un limite, potrei mangiarne fino a scoppiare. Sbucciarle, sentirne l'odore e poi gustarle e' uno sport che mi si addice, degno di una medaglia d'oro.
C'era una sorta di rispetto per la pianta ed il suo frutto. Mio nonno, ad esempio, non sopportava vederle raccogliere acerbe, era come subire un torto, una mancanza di rispetto per il suo lavoro.
A questo proposito ricordo un episodio, ancora vivo. Tanti cacciatori passavano dalla sua terra, tanti con educazione e rispetto per la proprieta' altrui, tanti no, furbetti di quartiere, che arraffavano quello che trovavano sulla loro strada.
Stanco di queste “razzie” mio nonno decise, una bella mattina, di portare con se' la sua “doppietta”. La cosa mi apparve strana. L'arma era tenuta in un armadio chiuso a chiave.
Mio nonno lavorava alla sistemazione di una fascia di terreno. Ad un tratto si accorse che in lontananza arrivavano due cacciatori. Si sedette ad osservare. Capii che voleva beccare chi rubava le arance ancora acerbe.
Uno dei due, senza scomporsi, afferro' un'arancia dalla pianta, la stacco', comincio' a sbucciarla e ne mise in bocca uno spicchio, per poi sputarlo immediatamente e buttare il resto in terra.
Al vedere la scena mio nonno rabbrividi'. Si avvicino', lo chiamo' ad alta voce, chiese perche' avesse staccato il frutto dalla pianta, visibilmente acerbo. Il cacciatore bisbiglio' qualche parola incomprensibile. Mi nonno rifece la domanda. Nessuna risposta. Arrabbiato, gli ordino' di mangiare quella che aveva buttato per terra. Il cacciatore guardo' il compagno incredulo, in attesa di una parola d'aiuto. Ma l'altro non fiatava. Mio nonno ripete' la frase, a questo punto quasi un ordine. L'altro riprese l'arancia, la guardo', tolse la rimanente buccia e con fatica comincio' a mangiarla, uno spicchio dietro l'altro, con disgusto. Finito, chiese scusa e saluto'. Mio nonno, guardandomi, disse: “Bisogna sempre avere rispetto per il lavoro altrui !”.
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